03 Nov Poevisioni
POEVISIONI. Il cinema ritrovato
Rubrica di Maurizio Fantoni Minnella*
LA DEBACLE MORETTIANA A CANNES E IL RUOLO DELLA CRITICA
La debacle dell’ultimo film di Nanni Moretti a Cannes 2021 suggerisce una nuova riflessione sul ruolo della critica cinematografica (che si potrebbe estendere ad una visione più generale dell’esercizio della critica) nel dibattito culturale contemporaneo.
Partiamo quindi, da quel 11 luglio, giorno in cui, mentre sulla Croisette si proiettava il film del regista romanzo Tre piani, tratto dal romanzo omonimo (2015) dello scrittore israeliano Eshkol Nevo, nello stadio di Wembley l’Italia giocava la finale degli europei di calcio 2020: e se nel frattempo il film otteneva un’ovazione di almeno dieci muniti, la squadra italiana, otteneva la vittoria all’ultimo rigore.
Fin qui tutto bene: l’euforia calcistica diventava contagiosa e, travalicando i propri confini naturali, irrompeva nel sancta sanctorum del cinema come un torrente in piena. Il Pil italiano aveva ancora una volta trionfato in Europa!… Il quadro si complicava, anzi, s’infrangeva, lasciando tutti sbigottiti, quando il film di Moretti veniva, qualche giorno dopo, escluso dai palmares, sia per la regia che per gli attori. Una debacle che il regista ha vissuto come un fatto personale, dal momento che gli era stato preferito un film francese (!) di una giovane regista che parlava di una donna cyberpunk che partorisce un’automobile (!?), mentre sul versante dei critici, nessuno, nemmeno coloro che avevano dato preventivamente giudizi benevoli sul film, si è voluto pronunciare in merito, pur tuttavia nemmeno approvando la Palma d’oro francese.
Sommersi, forse, dalla mediocrità delle proposte filmiche, inclusa quella morettiana, difesa, in prima battuta, per dovere di bandiera? (L’unico film italiano in concorso, etc.). Solo apparentemente ci si è trovati di fronte al solito dissidio tra pubblico e critici, in realtà quando Moretti vinse, a nostro avviso immeritatamente, la Palma d’oro nel 2001 con La stanza del figlio, vi fu concordanza tra il giudizio del pubblico e il verdetto della giuria.
Ci piace qui ricordare Moretti come un regista tanto presuntuoso da voler maneggiare con grande disinvoltura il kitsch più ammiccante, richiamando alla memoria perfino i fratelli Vanzina, campioni del cinema più commerciale, quelli di Vacanze in America, (come non cogliere, infatti, una chiara analogia tra la sequenza morettiana dell’incontro con i turisti americani in cima al vulcano Stromboli e quella a del match calcistico tra romanisti “fragichi” e juventini, sullo sfondo della Death Valley!), senza per questo voler mai rinunciare ad essere definito un Autore.
Ma se in autunno, all’uscita nelle sale, il film otterrà gli stessi applausi della “prima”, allora vorrà forse dire che il pubblico (il grande pubblico nel senso della quantità numerica, s’intende), avrà sempre ragione di ogni contesa o disquisizione critica?
Ci chiediamo, inoltre e in coda a queste brevi riflessioni, se abbia ancora un qualche significato il riferirsi all’esercizio della critica cinematografica ma non solo quella. Pensiamo, nonostante tutto, di si, a patto di riferirsi ad esso come un ultimo baluardo oppure un argine, se si vuole, contro il qualunquismo e la vacuità del semplice gusto soggettivo, legittimo ma molto spesso fuorviante.
Un orientamento, una bussola, forse, come è sempre stato, fino a quando si è stabilito di cancellare le differenze, i valori espressivi e formali, in altre parole, l’estetica di un’opera, in favore della sua immediata assimilazione emotiva, in direzione di un mainstream sempre più simile al mercato globale delle forme e delle idee.
*Maurizio Fantoni Minnella è uno scrittore, saggista e documentarista italiano. Instancabile viaggiatore, ha realizzato oltre trenta documentari su biblioteche nel deserto, lavori notturni, problematiche mediorientali, storie di quotidiana resistenza e molti altri universi sociali, culturali, umani.