02 Feb Affioramenti
AFFIORAMENTI. Tracce di poesia contemporanea
Rubrica di Valentina Colonna*
CLAUDIO DAMIANI
Claudio Damiani è nato nel 1957 a San Giovanni Rotondo. Vive a Rignano Flaminio nei pressi di Roma. Ha pubblicato le raccolte poetiche Fraturno (Abete, 1987), La mia casa (Pegaso, 1994), La miniera (Fazi, 1997), Eroi (Fazi, 2000), Attorno al fuoco (Avagliano, 2006), Sognando Li Po (Marietti, 2008), Poesie (Fazi, 2010), Il fico sulla fortezza (Fazi, 2012), Ode al monte Soratte (Fuorilinea, 2015), Cieli celesti (Fazi, 2016), Endimione (Interno Poesia, 2019) ed è in uscita per Fazi il suo nuovo libro Prima di nascere. È stato tra i fondatori della rivista Braci (1980-’84) e, nel 2013, di Viva, una rivista in carne e ossa. Tra i premi ricevuti: Montale, Luzi, Lerici Pea, Frascati, Laurentum, Camaiore, Arenzano, Brancati, Tirinnanzi. Ha pubblicato il saggio: La difficile facilità. Appunti per un laboratorio di poesia (Lantana, 2016) e, con Arnaldo Colasanti, La vita comune. Poesie e commenti (Melville Edizioni, 2018).
Dice: ma lei per osservare il cielo usa strumenti particolari?
No, non uso nessuno strumento, rispondo,
la mia osservazione è a occhio nudo
(ma dovrei dire a orecchio nudo
perché è più l’orecchio che adopero
o forse tutti i sensi insieme,
è una concentrazione
di tutti i sensi).
Io ho un punto di osservazione,
un mio laboratorio segreto,
un “angulum”, e da lì
stabilisco le connessioni.
Non sempre acchiappo qualcosa:
a volte è solo spazzatura celeste
a volte sono spezzoni di frasi
uscite dalla terra e andate nello spazio,
spesso sono rumori incomprensibili
di cui è impossibile stabilire la natura,
può succedere che però a volte
capisca qualcosa che è una voce vera del cielo,
una sua frase importante, come un messaggio cifrato
o forse una frase non importante, ma che viene dalla sua
voce,
parole che riguardano piccole cose, stupidaggini
ma che vengono da lontano, molto lontano.
*
Entrando nella selva fui preso da un pensiero:
c’era una relazione tra le forme degli alberi
e te, anche gli odori, l’aria fine del bosco,
quell’ombra umida e fresca
e quei ronzii, quei suoni come fossero i respiri
degli alberi. Anche mi pareva
che il modo che avevano gli alberi di correre
e di venirmi incontro salutandomi contenti
assomigliasse ai tuoi moti,
che ci fosse una relazione col modo
di originarsi, in te, del movimento.
I baci poi sulle foglie assomigliavano ai baci
sulle tue guance, e ai tuoi occhi sorridenti
assomigliavano le loro palpebre semichiuse nell’ombra.
Il fatto che ci fosse una relazione
tra te irraggiungibile, eterea
e loro così quieti e vicini
– cui potevo stare accanto stando in piedi,
o seduto, e toccare i loro tronchi –
era una cosa che mi sembrava incredibile.
*
Sì, ho cercato
ma adesso vorrei vagare
solo vagare
senza cercare.
Si, qualcosa ho trovato
cioè non proprio trovato,
qualcosa m’è passato vicino,
girandomi ho visto la coda
ma non mi va di inseguirlo,
ecco, lasciamolo stare, lasciamolo correre
dove gli pare.
Adesso vorrei essere io
questa cosa che appare non vista,
vorrei essere io questa cosa che vaga
e che ti sfiora, ti passa accanto nel sonno
mentre dormi, mentre mangi, mentre leggi
ti passa accanto e ti accarezza
o ti dà un bacio veloce
tu non fai a tempo a accorgertene
che già non mi vedi più.
*
C’è stato un tempo, ricordi,
che vagavamo insieme
e ci baciavamo a ogni angolo
ogni portone era il nostro
tu a volte piangevi
di felicità
e ti asciugavi gli occhi
io allora ti stringevo a me
e ti baciavo,
alcune volte mangiavamo un gelato
o semplicemente passeggiavamo
poi veniva sera e tu eri più bruna
si faceva più scuro il tuo viso,
gradatamente, passo dopo passo,
il giorno era finito,
ma sentivo il tuo respiro, il tuo cuore che batteva,
appoggiavo l’orecchio al margine del tuo seno
sulla riva della tua bocca,
stavo sull’orlo in bilico
e ti sentivo,
come un filo lunghissimo cui tu tenevi un capo
e dall’altra parte, dopo infiniti chilometri,
la mia piccola mano.
*
Paragono l’odore della tua pelle
alla mela appena colta
la buccia tenera che bacio
o alla melagrana che s’apre
e io faccio strage dei grani
poi quando l’ho mangiata tutta
che non è rimasto neanche un semino
mi piace dormire tenendoti stretta
come se tu fossi un albero meraviglioso
dai frutti mai gustati
e io avessi messo radici ai tuoi piedi.
*
M’ero sognato che noi andavamo piano
per una strada. Era la via fiorita
d’ogni tipo di fiore, biancospini,
rose, perastri, e io li prendevo a mazzi
e te li davo, tu li odoravi un poco
poi li tenevi al petto, e anche infioravi
il crine, e io ti baciavo e odoravo
i fiori e te, e sempre nuovi fiori
coglievo e più ne coglievo più nuovi
senza fine nascevano e si aprivano.
Da: Claudio Damiani, Endimione, Interno Poesia, 2019
*Valentina Colonna è poetessa e pianista compositrice. Nasce a Torino nel 1990 in una famiglia di musicisti e ha pubblicato i libri di poesia Dimenticato suono (Manni, 2010), La cadenza sospesa (Aragno, 2015) e Stanze di città e altri viaggi (Aragno, 2019). Si occupa di Fonetica, privilegiando la sua applicazione al campo della prosodia della poesia moderna e contemporanea italiana. Ha ideato e cura la piattaforma VIP – Voices of Italian Poets, archivio sonoro di registrazioni della poesia italiana, presente sul sito del Laboratorio di Fonetica Sperimentale “Arturo Genre” dell’Università degli Studi di Torino.