29 Apr Alice nel Paese delle schifezze
ALICE NEL PAESE DELLE SCHIFEZZE
Rubrica di Alice G.*
MA CHE VE LO DICO A FARE…
Fatta la tara a ipocrisie varie e senza voler prendere nessuna posizione politica, più che a un governo questa compagine sembra una banda che si ritrova nel covo dopo una rapina per spartirsi il malloppo.
Politicamente d’altronde non esiste nulla, da nessuna parte: gli irritanti e banalissimi slogan recitati a memoria davanti alle telecamere dei vari tg dai vari rappresentanti dei partiti nascondono un vuoto ideologico e direi anche un disagio esistenziale.
Per fortuna tutti l’hanno detto chiaro: entriamo nel governo per poter essere presenti nella spartizione. Infatti, che la maggior parte di loro sia in Parlamento per difendere gli interessi di questa o di quella lobby o categoria è una cosa risaputa. E’ sempre stato così, ma ora, come tutto il resto, è tutto molto più sfacciato, arrogante e miope.
Ragionando su quel che si sa del Recovery Plan (ma non doveva essere trasparente?), mi sembra di capire che la valanga di soldi andrà per l’80% ai grandi gruppi industriali o alle PMI che si accorperanno in grandi progetti. Anche nel mio campo di appartenenza, quello della moda e del design, non so quanto andrà ai piccoli artigiani o piccoli atelier o creativi.
Si tende a creare un mainstream, replicando a livello omnicomprensivo quello che è accaduto tra piccole botteghe e catene di supermercati.
E’ il progresso, bellezza! Possibile che solo nei film vincano i più deboli?
Se poi ci spostiamo in un altro campo che mi interessa molto come fruitrice, ossia la cultura, leggendo le varie bozze si evince che ancora una volta di questo comparto non frega a nessuno, almeno nella sua vera essenza: la produzione artistica e culturale.
Si parla di patrimonio culturale, di turismo culturale, ma soldi per mettere in sicurezza quell’universo composto da decine di migliaia di donne e uomini che producono bellezza attraverso organizzazione di eventi culturali non commerciali, piccole compagnie teatrali, gruppi musicali alternativi, scrittori, drammaturghi, service luci e audio, ne sono stati previsti zero o quasi.
Forse non ho visto io, ma non mi sembra proprio. Spero di essere smentita, ma si parla si digitalizzazione (mi puzza di soldi a piattaforme tv), di cinema (e non credo proprio che ai registi e produzioni indipendenti e sperimentali andrà qualcosa), di altre cose molto nebulose.
Una volta c’era l’informazione, i giornali era sì influenzati da gruppi di potere, ma non erano di loro proprietà. Ormai sono bollettini aziendali, con una credibilità prossima allo zero.
Non sapremo mai nulla sul perché si sia deciso di non investire sulla cura al Covid per limitare le morti e le cure intensive, non sapremo mai nulla delle vere destinazioni del PNRR (continuo a crederlo il suono di una pernacchia), non sapremo mai nulla delle nuove normative bancarie europee che strangolano i piccoli risparmiatori e imprenditori che osano andare in rosso anche per pochi giorni e per minimi importi. E potrei continuare.
Inoltre la situazione pandemica sta esacerbando gli egoismi e ognuno pensa (solamente) ai propri interessi di categoria e penso che il recovery plan e i suoi 190 miliardi saranno la pietra tombale su creazione artistica, ricerca indipendente e artigianato, visto che questi, se va bene, saranno felici se raccoglieranno misere briciole cadute dal tavolo della spartizione.
E se ragionassi come quasi tutti direi: “tanto a me che me ne frega? il comparto del fashion e del luxury avrà il giusto e continuerò a guadagnare come e meglio di ora“. Oppure farei come una mia collega che pensa che i grandi problemi siano le unghie spezzate o non trovare il proprio numero delle scarpe viste in Via Montenapoleone.
Si legge poi di un extra-fondo da 30 miliardi, per spese minori (e non specificate in dettaglio ma a discrezione), insomma una sorta di argent de poche per accontentare le lobbine escluse dal giro grosso. Un po’ come succede nei milleproroghe, con contributi ad personam (giuridica) infilati all’ultimo minuto, simili alla bustina della nonna con dentro 50 euro data al nipote per il mojito.
Sono nata nei primi Anni Ottanta e attraverso letture e racconti dei colleghi più anziani so di essermi persa anche gli ultimi bagliori di un mondo migliore, dove perfino tra squali una stretta di mano o una parola data aveva un valore e la qualità era più importante della quantità.
Ormai, se segui questi comandamenti etici sei un loser, un perdente, uno sfigato che non riesce a stare al passo dei tempi.
Come le piccole botteghe, come i nativi americani, come gli abitanti dei centri storici… tutti asfaltati.
Nei film e nei fumetti, almeno, arriva il supereroe o un Tex Willer che gli spegne quel sorrisetto da arroganti vincenti. Qui gli restituiscono vitalizi e li (ri)coprono d’oro.
Ma che ve lo dico a fare…
*Alice G. lavora nel campo della moda e design, scrittrice e giornalista. Ha 150 di QI e 90 di seno.
Adora i romanzi russi e il tacco 12