25 Nov Classici contemporanei
CLASSICI CONTEMPORANEI
Rubrica di Marco Ercolani*
MARCO AMENDOLARA
La passione prima del gelo. Poesie 1985-2008
La Vita Felice, 2016
Con un ghigno soave o sinistro / i cadaveri precipitano nel vortice / indicando in lingua sconosciuta / ai vivi la terra destinata
[…].
Era tutto orto, lo spazio / che ti abitava: / le radici, le piante, le acque / che sgorgavano piano e formavano / piccole pozze; i vari volatili; / gli alberi, più lontano: nespoli, fichi, / e, oltre, la vigna. / Una lieve follia entrava in te, / corpo di molte presenze.
Con lo stesso titolo dell’autoantologia del 2007, curata da Mario Fresa, esce nel 2016 il volume di Marco Amendolara che raccoglie tutte le sue poesie, scritte dal 1985 al 2008, a cura di Alessandro Ghignoli: è il libro, necessariamente conclusivo, di un poeta appartato e schivo, autore di testi beffardi e tragici, traduttore personalissimo di autori greci e latini, che di sua volontà si toglie la vita alle soglie dei quarant’anni.
L’opus di Amendolara, come ci ricorda Ghignoli, è percorso da un tema ossessivo: il corpo. Un corpo che spesso vuole liberarsi dalla vita («Quando non hai corpo ti conosci meglio; / scorre e dice l’acqua / mentre si specchia in te; / quando non sei corpo / susciti ogni meraviglia / e, meravigliato, sei sbigottito / dalla conquista. / La natura ti annulla, è niente / E tu sei natura»), e tornare terra (“Era tutto orto, lo spazio / che ti abitava»; «e tu, dissolto, cenere, / tu stesso orto»). L’orto contiene e protegge, è «fine di un dolcissimo incubo», quell’incubo che, per Amendolara, è da sempre, tra presenze e fantasmi, la vita. Il poeta vaga alla ricerca di sé («I piedi non indovinavano / la terra, e la tua mente / ti illuminava a intermittenza / come un mirabile neon consumato. / Rovinando, formulavi / una domanda vana») ma parla con voce precisa («Parla il tuo sguardo, senza ingorghi / di punteggiatura»). Dichiara la propria angoscia («il sorriso / diventa ghigno, la ruga / un graffio nell’osso, / il corpo niente, / se poi non si riaccende») e a ogni verso corteggia con tenerezza la propria futura scomparsa.
Il lettore di questo libro, pieno di oscuri incubi, prova anche un’altra sensazione, che non ha niente a che fare con la morte: la sensazione, inebriante e semplice, di leggere un poeta classico, che ti accompagna sull’orlo del precipizio con il suo ragionare gentile, con la timida intensità delle anime che vedono oltre la superficie del mondo («Il pozzo, un antispecchio / che non vuole conoscere/ il tuo volto»). L’intensità assoluta del suo “vortice d’ombra” non si disgiunge da una profonda tenerezza per il mondo, per la natura, per l’amore. «Una lieve follia entrava in te, / corpo di molte presenze».
Ma, come scrive Ghignoli, «l’individuo non è solo con i suoi demoni interiori o le sue fantasie immaginative, ma anche con il corpo che è inserito in un tutto animato, in cui passioni, ragioni, fenomeni della natura si mescolano e danno la visione di un mondo particolare e fantasmatico». Fin dal primo libro Marco compone il disegno di questo mondo “fantasmatico”, anche attraverso le maschere dello pseudonimo, le ritraduzioni dal latino, l’amore per i fumetti: sembra scrivere in trance, in un movimento di scrittura che travalica mente e corpo con ariosa disperazione, lasciando al lettore lo spazio di una lettura turbata ma limpida, dove la morte imminente dell’autore sembra lontana e impensabile, accennata forse dalla cantilena ripetuta di certe ossessioni: «Tutto questo freddo da quando / sei nato, forse è la fine / che viene a liberarti, si spera / nel segno della salvezza». Come scrive ancora Ghignoli: «Nella lettura della poesia di Amendolara notiamo in maniera evidente che i versi, le parole, il dire poetico sono posseduti dalla voce dell’autore, dal suo percepire alla maniera di un realismo personale, il convivere fra poesia e quotidianità». Una convivenza conturbante, misteriosa, fra il proprio sé e il suo doppio. «Nascosta, ma un po’ si lascia scorgere, / l’ombra delittuosa che ospiti. / Una vicenda uguale al passato: / la tua persona è soltanto / la tua presenza?».
Talvolta, leggendo i versi di Marco, si rimpiange che un poeta così ardente ed esatto non abbia scritto ancora, privandoci di doni ulteriori. Ma l’intensità arriva una volta sola e resta un enigma con cui, ogni volta, tornare a fare i conti, soprattutto quando la vita viene chiusa con uno scatto violento. Forse il poeta non ha accettato quello che lui stesso scrisse e che noi lettori leggiamo in questo libro: «e consumato il senso della gioventù / avanza inequivocabile, odiata e necessaria, / la maturità». Renzo Paris afferma che la sua poesia vive «in questa operazione di allontanamento dalle avanguardie del secolo e di riavvicinamento all’Atlantide della poesia latina, che fonda quella moderna»: ma l’Atlantide di Marco è una terra veramente sommersa, un pozzo che è specchio e antispecchio, inerme abbandono al divenire insondabile della parola nel corpo. Ancora una volta, scrivendo, Amendolara si fa testimone della sua sparizione: «non fui io a lanciarmi / nel vuoto, / ma quello a risucchiarmi / e ancora adesso non comprendo / come sia accaduto».
Se Shakespeare scrive: «Maturità: è tutto», Amendolara, sorridendo disincantato, confida all’amante-poesia la sua fatale immaturità, primo pensiero e primo sollievo: «il corpo fu libero, pronto / al sonno e all’ascensione».
*Marco Ercolani è psichiatra e scrittore. E’ autore di una vasta bibliografia che comprende saggi, romanzi e raccolte poetiche.
Con Turno di guardia ha vinto nel 2010 il Premio Montano per la prosa inedita. Tra le sue ossessioni: i racconti apocrifi, le vite immaginarie, la poesia contemporanea e il nodo arte/follia.