11 Gen Poevisioni
POEVISIONI. Il cinema ritrovato
Rubrica di Maurizio Fantoni Minnella*
LINGUAGGI MUSICALI E DECADENZA CONTEMPORANEA
Se il ‘900 non è stato il secolo della musica ma delle musiche, ci si dovrà dunque, interrogare su ciò che intendiamo per musiche del XX° secolo, ovvero quell’immenso corpo sonoro proveniente da differenti origini, sostanzialmente europee e americane, colte e di radice popolare come le musiche nere e il rock che ne è un derivato giovanile.
Oggi, per sempre più vaste schiere di osservatori, sono proprio quest’ultime a rappresentare insieme modernità e contemporaneità, in una sorta di continuum ininterrotto, dominato dalla semplicità comunicativa, dal principio universale dell’intrattenimento di massa, pur con talune eccezioni come il jazz, ritenuto a sua volta, un segmento musicale del tutto minoritario e non solo nelle sue frange estreme, ossia per un’elite ristretta. Le ragioni sono note.
Una di questa, forse la più significativa da un punto di vista più strettamente musicale, riguarda il fatto che l’esaurirsi della spinta modernista delle ultime avanguardie musicali, ossia della novità di un linguaggio di radicale rottura con la tradizione tonale sette-ottocentesca, ha visto il netto prevalere di scelte musicali basate sulle modalità ormai vecchie del minimalismo americano oppure su un recupero acritico e alquanto consolatorio del linguaggio tonale quasi a voler idealmente riprendere un discorso interrotto da oltre mezzo secolo, trasferito in una sorta di “nuova semplicità” attraverso cui ritrovare quelle forme di comunicazione con il pubblico che le avanguardie avevano smarrito. Un’azione più che legittima se fatta corrispondere ad una seria ricerca sui linguaggi ormai storicizzati di cui oggi può disporre un giovane compositore, non necessariamente in chiave post-moderna.
La principale ragione è dovuta alla difficoltà di trovare una nuova forma capace di coniugare le precedenti esperienze sonore novecentesche con una sorta di nuova classicità. Non è casuale, forse, che l’unica corrente in grado di contrapporsi alle derive tonali e neo-romantiche ormai dominanti, sia proprio lo spettralismo con la sua proposta di un’inedita relazione tra suono e silenzio, come risposta alla troppo facile e prevedibile eloquenza melodica, che ha il suo maggior teorico nel compositore francese Gerard Grisey (1946-1998). In Italia, oltre al celebrato compositore palermitano Salvatore Sciarrino (1947), Lucia Ronchetti (1963) si situa per coraggiosa scelta linguistica nella prospettiva spettralista. Ma nella maggioranza dei compositori si è ormai insinuata l’idea che la comunicazione di massa sia la misura necessaria per ogni composizione. Comporre significa, infatti, pensare, innanzitutto, al pubblico cui destinare il proprio lavoro. E venendo meno la presenza di un pubblico dei concerti, specializzato e colto, che, ad esempio, negli anni sessanta e settanta del secolo passato formava una specie di “zoccolo duro” della ricezione della “nuova musica”, oggi, la mancanza di manifesti, proclami e correnti, ma soprattutto di una reale volontà di sperimentare nuove combinazioni di suoni ed espressioni, ha generato una sconfortante piattezza in tutti gli ambiti musicali, sia a livello istituzionale che in quello creativo.
Si vorrebbe rimarcare la cesura tra avanguardie e neoavanguardia, laddove alle seconde, inaugurate nel secondo dopoguerra, corrisponderebbe sul piano storico l’insorgere della cosiddetta musica pop o leggera (popular, come è in uso nell’odierna musicologia), di cui il rock e la canzone d’autore sarebbero la sua versione più vitale e creativa, così da considerare, paradossalmente, quest’ultima, la sola “vera” musica della seconda metà del XX° secolo.
La morte di tre big della musica italiana Ezio Bosso, Ennio Morricone e Franco Battiato avvenuta tra l’anno 2019 e il 2021, non ha affatto suggerito una rilettura critica del complesso della loro opera, ma, al contrario, ha favorito il riesplodere di un vero e proprio culto della personalità dei suddetti autori entro un contesto pubblicistico allargato dove non è ammesso il dissenso in qualunque forma esso si manifesti. Abbiamo udito e letto affermazioni del tipo “la musica di Battiato proviene dalle sfere celesti”, oppure “dopo la musica Mozart c’è, per grandezza, quella di Morricone”…. E altre amenità come queste.
Il processo di rimozione della musica colta del XX° secolo può dirsi compiuto allorché la definizione (peraltro obsoleta) di “musica classica” è consegnata ad un’epoca lontana, ossia il sette-ottocento.
Ciò che è avvenuto dopo (o almeno gran parte di esso), viene spesso rubricato come “la brusca interruzione dello sviluppo naturale dell’ascolto come legittima conseguenza di un innaturale superamento dell’armonia tonale ereditata dalla tradizione”.
Eppure il ventesimo secolo, oltre ad averci donato la gioiosa bellezza delle avanguardie e il rigore assoluto delle neoavanguardie, ci ha aperto la via verso la conoscenza delle musiche “altre”, ossia dei popoli del mondo, ci ha insegnato ad ascoltare Bach come tutto il barocco, attraverso la filologia degli strumenti d’epoca, ci ha mostrato la bellezza dei primitivi medievali e del sommo Gesualdo da Venosa, la sublime complessità dei polifonisti fiamminghi. Senza, tuttavia, dimenticare le inedite sonorità del rock più elaborato e colto, né quello più segnato dalla rabbia generazionale o quello più esplicitamente più politico (che certamente recupera il sistema tonale, ma in forme inedite), laddove quell’elemento extramusicale, tra gli anni sessanta e settanta, diventava, per così dire, trasversale rispetto alle diverse realtà musicali: dalla musica colta (Nono) al Jazz (Shepp) al folk revival (Illimani / Marini).
E infine, il fatto che con la musica afroamericana, il principio della composizione istantanea (improvvisazione), da fenomeno popolare rurale è diventato un fenomeno artistico urbano di portata universale. La musica attuale sembra vivere di un eterno mainstream, nell’ostinata ricerca di un’eterna classicità identificabili negli standard del repertorio da cui attingere, appunto, a piene mani.
Quest’ultimo si rivela sempre più una specie di riserva o miniera da cui estrarre materie preziose, purtroppo già ampiamente sfruttate. Oppure nella quieta immersione in un’“ambient” elettronica e omnicomprensiva, adatta, ormai, più a un intrattenimento raffinato che alla ricerca di nuovi paesaggi sonori.
Perfino la “world music”, fenomeno recente di rigenerazione musicale basato sulla contaminazione dei linguaggi, etnico e popular, dopo una fervida stagione, nella quale, sperimentando sonorità spesso inedite, si è costituito una sorta di repertorio con autori ormai riconosciuti, principalmente in Europa e in Africa, sta mostrando ormai segni di stanchezza, laddove il cosiddetto big business prende il sopravvento sulla creatività dei singoli musicisti o gruppi.
Sono, soprattutto i concerti ad assicurarne in qualche modo la continuità. E’ proprio nel rituale dell’ascolto collettivo dove meglio si chiarisce il livello di percezione del fenomeno culturale mediante i suoni prodotti dagli strumenti.
*Maurizio Fantoni Minnella è uno scrittore, saggista e documentarista italiano. Instancabile viaggiatore, ha realizzato oltre trenta documentari su biblioteche nel deserto, lavori notturni, problematiche mediorientali, storie di quotidiana resistenza e molti altri universi sociali, culturali, umani.