24 Apr Polipoesia e dintorni
POLIPOESIA E DINTORNI
Rubrica a cura di Enzo Minarelli*
LA RIVOLUZIONE È SEMPRE UN COLPO DI DADI
Si dice sempre che dopo Mallarmé la poesia non può più essere quelle di prima, ma non si dice il perché.
La data del 1897 quando esce Un coup de dés jamais n’abolira le hasard, resta di capitale importanza perché, in estrema sintesi, la parola scritta si espande sul bianco della pagina inaugurando il dualismo assai proficuo tra il nero (la scrittura) e, appunto, il bianco (lo spazio vuoto).
Non solo, la parola stampata nella sua inamovibile staticità finalmente compie il grande salto verso l’oralità, ed è questa la ragione per cui il nostro buon Marinetti mal tollerava la presenza del poeta parigino. A dispetto dell’ostracismo dichiarato da parte dei futuristi, la storia compie il suo corso, ed oggi, dopo più di un secolo siamo a qui a dire che la rivoluzione poetica parte sempre dal colpo di dadi.
Per capire la portata di quell’intuizione noi possiamo immaginarne la performance, eseguita qualche mese prima che lo stesso Mallarmé morisse, nella sua abitazione di rue de Rome, trasformata in cenacolo letterario ogni martedì.
Però, c’è un documento che ce lo trasmette a tutto tondo, si tratta del cortometraggio Toute Révolution est un Coup de Dés girato nel 1977 da Jean-Marie Straub e da Danièle Huillet .
Nella sua brevità, ci consegna intatto il potere della declamazione, per usare una terminologia cara ai futuristi, qui evidenziata da diverse attrici e attori seduti su un prato, concentrati ad alternarsi nella lettura del testo che ad ogni verso cambia interprete e tonalità.
In epoca non sospetta, il duo Straub-Huillet crea una delle primissime videopoesie in quanto il sonoro è dato dalla esecuzione della poesia, ma nel contempo è calibrato esempio anche di videoperformance perché la regia inquadra sempre e soltanto il performer, fatta eccezione per l’iniziale piano sequenza che mostra il giardino dove si svolgerà la scena e il finale con una inquadratura fissa in campo lungo di uno skyline cittadino.
La tecnologia non va demonizzata ma neanche cassata a priori, anzi, memore del primo punto del nostro manifesto, “Solamente lo sviluppo delle nuove tecnologie segnerà il progredire della poesia sonora: i media elettronici e il computer sono e saranno i veri protagonisti“, mi vien da dire che è stata una facile se non scontata profezia.
Oggi, alla luce dell’attuale sbornia mediatica e dell’imperversare dei social, vanno fatte alcune considerazioni per chi si accinge forse troppo frettolosamente ad ingoiare l’allettante boccone del software passe-partout: al di là di una totale conoscenza del medium utilizzato, occorre non esserne succubi ma dominarne effetti e strategie.
Perché questo avvenga in modo naturale e non artefatto, è necessario agire non in nome di una improvvisata casualità ma secondo un ben predefinito programma.
*Enzo Minarelli è nato nel 1951 (laureato con tesi di psicolinguistica all’Università di Venezia) si occupa di poesia e delle sue praticabili aperture verso il suono, la scrittura, il video e lo spettacolo, sin dagli anni Settanta. Il suo Manifesto della Polipoesia è del 1987, tentativo di teorizzare lo spettacolo di poesia sonora. Suoi interventi polipoetici sono stati eseguiti in Europa, Canada, U.S.A., Messico, Cuba e Brasile.