11 Gen Polipoesia e dintorni
POLIPOESIA E DINTORNI
Rubrica a cura di Enzo Minarelli*
“YO SOY UNA PERSONA BIEN VESTIDA…”
Così recita uno dei suoi versi più ironici e carichi di sberleffo antisociale. Sto parlando di Xavier Sabater, un poeta barcellonese che ci ha lasciati prematuramente (al 16 marzo scorso sono stati sette anni dalla sua scomparsa).
Nel nostro ambiente è abbastanza raro stabilire rapporti di amicizia che siano duraturi e produttivi nel contempo. In genere prevalgono le scontate rivalità che poi diventano croniche inimicizie. Con Xavi è successo l’esatto contrario e il fatto che ci si vedesse per il mero piacere di stare insieme conferma quanto vado dicendo.
Lui era ed è stato sino alla morte, il poeta doc dell’underground barcellonese, instancabile ed indefesso organizzatore di Festival de Polipoesia, circa una trentina, sempre pronto a buttarsi anima e corpo anche nei progetti più strampalati. Nel suo caso io parlerei di autenticità, in quanto il suo essere poeta coincideva con il suo essere uomo.
La sensazione positiva che ho avuto sin dal primo momento che ci siamo conosciuti, mi ha sempre accompagnato per tutta la durata del nostro sodalizio sia umano che polipoetico.
E dire che la prima volta, giugno 1992, fu davvero stucchevole.
Io provenivo dall’Istituto di Cultura Italiana di Madrid dove avevo presentato un mio poema sonoro prodotto dalla Radio Nacional Dos de España per la curatela di José Iges, presi il ponte aereo come si chiamava allora e atterrai a Barcellona, atteso dal locale capo dell’omonima istituzione. Costui, il classico compassato funzionario statale, in pratica si rifiutò di accompagnarmi all’abitazione di Xavi sostenendo che era una zona troppo malfamata e a rischio d’incolumità personale. Naturalmente io ci andai lo stesso, non mi capitò nulla, se non incontrare una persona generosa e iperattiva con la quale ho condiviso scorribande e imprese polipoetiche per quasi 25 anni.
È stato un poeta contro, callejero e combattivo, non si tirava mai indietro anche nelle risse più becere nei bassifondi barcellonesi dove apparentemente avrebbe dovuto buscarle e invece finiva per farla franca. Così i suoi testi, bruschi e acidi con una patina ironica che stordiva. Era ancora convinto che la poesia potesse servire a qualcosa, e per questo quando la CNN gli ha dedicato un servizio, lui ha scelto di performare quel SABA-SANYO-CASIO che è l’affronto più feroce contro lo strapotere delle multinazionali nel mondo.
Naturalmente mi fece molto piacere sentire dalla sua viva voce che la conversione a 360 gradi della sua produzione poetica venne provocata dalla Antologia Polipoetica che avevo pubblicato nel 1987 a Zaragoza con un giovane editore che era venuto ad assistere ad una mia performance.
Alla fine di un poeta resta la sua opera, quello che ha scritto, quello che ha performato nel caso dei polipoeti, ma nel caso di Xavi resta anche una tangibile traccia di umanità che io percepivo molto visibile e concreta mentre le sue ceneri venivano cullate via dal vento lungo il pendio del Tibidabo.
*Enzo Minarelli è nato nel 1951 (laureato con tesi di psicolinguistica all’Università di Venezia) si occupa di poesia e delle sue praticabili aperture verso il suono, la scrittura, il video e lo spettacolo, sin dagli anni Settanta. Il suo Manifesto della Polipoesia è del 1987, tentativo di teorizzare lo spettacolo di poesia sonora. Suoi interventi polipoetici sono stati eseguiti in Europa, Canada, U.S.A., Messico, Cuba e Brasile.